Vi racconto come è nato il Rifugio Matildico. Inizialmente facevo attività di recupero di animali incidentati per la provincia di Reggio Emilia: daini, caprioli, cervi, cinghiali ecc… Quando intervenivo sul posto, a volte mi capitava di vedere animali che si potevano curare, non erano messi così male da sopprimerli. Per fare questo però, occorreva una struttura adeguata e a Reggio non ce n’erano, allora i C.R.A.S. erano pochi: avendo del terreno mio a disposizione, ho pensato di creare questo Centro. Per un certo periodo ho ospitato solo caprioli, daini, cinghiali; in breve tempo si era diffusa la voce che c’era un C.R.A.S. nel reggiano e sono arrivati altri animali. Crescendo la richiesta di soccorso, ho cominciato a pensare più in grande; da solo non riuscivo più a gestire tutto, di conseguenza ho fondato un’associazione: l’Associazione S. Bernardino. In questo modo ho potuto avere dei volontari disposti ad aiutarmi nel realizzare il mio sogno. Nel 2011 ho cominciato con i volontari… e a pensare in grande! Nel primo anno, abbiamo ospitato 300 animali… nel 2020 abbiamo raggiunto la cifra di 4.300! Pensate un po’ come è andata la storia di questo Centro! Vi devo dire che l’inizio di tutto è stato lo stimolo di curare quegli animali che, nei primi recuperi, avrei potuto salvare. Come ho detto prima, ho cominciato con i caprioli e poco altro, poi, piano piano, siamo arrivati a questo punto. È un sacrificio… è un sacrificio enorme perché impegna 24 ore su 24, giorno e notte, non c’è mai un momento tranquillo, non è la vita di una persona che, finito il lavoro, torna a casa e si mette tranquillo; per me e per i tanti volontari che adesso mi seguono per i recuperi non c’è sosta, bisogna essere sempre attenti e pronti alle chiamate di soccorso e recupero, per intervenire sugli animali feriti. Cosa mi spinge a fare tutto questo tra mille difficoltà? È una cosa spontanea, che è dentro di me; quando intervengo sul posto e vedo l’animale che mi guarda, scatta una molla, quella molla che mi fa andare avanti, sempre, nonostante le difficoltà. È questo, il loro sguardo, che mi ha fatto prendere la decisione di trovare il modo di salvarli. E’ come se mi chiedono di fare qualcosa. Quando c’è la possibilità di salvarlo, ti senti coinvolto, ti viene lo stimolo di fare tutto il possibile per salvarlo e, quando questo animale che ti ha guardato, che ti guarda, viene curato, migliora di giorno in giorno, guarisce e potrà essere rimesso in libertà… beh… è un’emozione indescrivibile! Non avevo mai provato una cosa così! Ogni volta che provo un’emozione così unica, sento sempre più forte il bisogno di dare una possibilità a questi animali, la possibilità di guarire e tornare in natura liberi. Quando si arriva al momento della liberazione, di qualsiasi animale, l’emozione è impagabile! Non esiste niente di più bello! Provo una grande soddisfazione e sono molto contento di aver fatto questa scelta. In tutti questi anni ci sono stati tanti momenti emozionanti, belli e anche forti; a volte anche momenti di paura, intervenire su un daino che ha un palco (appendice ramificata che si trova sul capo dei Cervidi n.d.r.) di un metro e mezzo e con una potenza notevole non è facile, quando viene liberato da una rete dove spesso si impigliano, parte a tutta velocità, in tutta la sua potenza, finalmente libero! È un momento molto bello! Sono tanti i momenti belli… ricordo la liberazione di Paride. Paride era un biancone o aquila dei serpenti, una specie molto rara nelle nostre zone; mi hanno chiamato dicendomi che in un parco di Parma c’era questo enorme rapace ferito ad un’ala, in modo grave. Non essendo in grado di volare, non ha potuto procurarsi cibo, per questo motivo, senza mangiare, era molto debilitato, senza forze. Era a terra, era messo molto male, ma reagiva ancora; l’ho preso e portato al Centro. Paride ha ricevuto subito le cure necessarie, l’abbiamo curato per un mese… quaranta giorni circa, poi l’abbiamo liberato. È stata una cosa meravigliosa! Un altro caso che mi ha molto emozionato è stato quello di Ettore, un lupo. Mi avevano chiamato una sera, erano le ventidue circa, insieme ad uno dei volontari che si erano messi a disposizione per il turno di notte, ci siamo recati sul posto. Mi avevano detto che, a causa delle ferite molto gravi causate dall’incidente (era stato investito da un auto), non ce l’avrebbe fatta, l’avevano dato per spacciato. Quando siamo arrivati, ho visto che respirava ancora, era in stato comatoso, ma respirava; aveva lacerazioni ovunque, alcuni tendini strappati, era messo davvero male! Mi sono detto: “proviamo!” Mi sono messo subito in contatto col veterinario che collabora con noi, dai raggi non aveva niente di rotto, abbiamo cominciato con le operazioni di sutura e le cure del caso. Ha reagito bene, gli sono stati dati un centinaio di punti! È stato con noi quaranta giorni, curato, alimentato ed accudito. Dopo i quaranta giorni di degenza al Rifugio, con il consenso dei veterinari e del W.A.C. (Wolf Appennine Center n.d.r.), abbiamo deciso che era arrivato il momento di liberarlo. Dovete sapere che per un animale selvatico stare per molto tempo chiuso è controproducente, appena è in grado di andare, bisogna liberarlo; siamo andati nella stessa zona dove l’abbiamo recuperato… quando è uscito dalla gabbia, ha fatto cento metri e si è girato indietro a guardarci, come un ringraziamento per averlo salvato! È stato un momento emozionante, unico! Di più non si può chiedere! Ho cominciato nel 2011 con poche persone, conoscenti e qualcuno che si era aggregato, poi ho creato l’Associazione S. Bernardino e abbiamo cominciato a crescere. All’inizio è stata dura, i volontari erano pochi e gli animali arrivavano sempre più numerosi, c’era bisogno sempre di più strutture per ospitarli… è stata un’impresa dura, anche tutt’ora non è facile, però, da quando ho cominciato, ora siamo 60 volontari che lavorano all’interno del C.R.A.S. accudendo gli animali e tutto ciò che occorre, in più una quarantina di volontari sparsi sul territorio di Reggio e Parma che collaborano quando c’è da recuperare qualche animale. Quando c’è bisogno si attivano e fanno da staffetta o addirittura ce lo portano in sede, quindi in tutto un centinaio di volontari impegnati nel Centro. Tirando le somme, penso a tutto ciò che ho fatto, che è stato fatto e cosa c’è ancora da fare; in tutti questi anni ho capito che non c’è un momento dove si può dire: “Siamo arrivati!”. Io vedo che i volontari hanno tanto spirito, tanta carica per andare avanti; ci stiamo organizzando a livello strutturale e questo è molto importante; il Centro si sta allargando, a questo punto mi viene da dire: “Andiamo avanti e facciamo sempre di più!”. Questo è il mio spirito, in tutta la mia vita non sono mai stato fermo, non mi sono mai fermato, ho sempre cercato di migliorare e anche qua non sono mai contento! Ogni volta che faccio un intervento penso che vorrei farne ancora di più! Non vedo l’ora che la gente chiami per potere andare e intervenire e migliorare. Quando vedo tutti i volontari all’opera, che si impegnano… i volontari fanno un grosso lavoro, provo una grande emozione e tanta soddisfazione; alla fine mi viene da dire: “ Beh… cavolo.. Sono partito da zero e arrivare a questo livello”, come numero di animali siamo tra i primi in Italia, provo una grande soddisfazione e un grande affetto per tutti i volontari. A volte c’è da brontolare, c’è qualche disguido, però provo un amore reciproco, perché anche i volontari ricambiano questo affetto, provo emozioni che sinceramente non avrei mai pensato di provare!
Ivano Chiapponi
Se vuoi sapere di più sulla vita del CRAS Rifugio Matildico leggi il nostro giornalino RIFUGIANDO.